Stele di Gebel Barkal

760-656 a.C. (Terzo Periodo Intermedio)

Il racconto di Piankhy, datato nel suo ventunesimo anno di regno, inizia narrando come un audace principe del delta, di nome Tefnakht, si fosse impadronito di tutta la regione occidentale fino a Lisht, risalendo il fiume con un forte esercito; al suo avvicinarsi i capi delle città e dei villaggi avevano spalancato le porte ed erano andati a mettersi alle sue calcagna come cani. Egli poi si era diretto verso est, e dopo aver catturato le principali città sulla sponda destra del Nilo aveva posto l'assedio a Eracleopoli, circondandola da ogni lato per impedirne a chiunque l'accesso o l'uscita. Per quanto grave fosse questa notizia, essa non riuscì a preoccupare Piankhy, che, come dice il racconto, «rimase di ottimo umore, rise e si rallegrò nel suo cuore». Ma gli ufficiali del suo esercito in Egitto non presero la cosa altrettanto alla leggera e chiesero: «Tacerai, dunque, e dimenticherai l'Alto Egitto, mentre Tefnakht avanza senza incontrare ostacoli?» Riferirono inoltre che a Hwer, presso Ermopoli, Nemrat aveva raso al suolo le mura della vicina Nefrusy, aveva infranto i vincoli di fedeltà verso il suo sovrano, ed era stato ricompensato da Tefnakht con il permesso di prendersi tutto ciò che trovava. Questo era troppo per Piankhy, che a questo punto ordinò ai suoi comandanti in Egitto di porre l'assedio a tutto il nomo della Lepre. Nello stesso tempo impartì rigorose istruzioni sulla strategia da seguire: si doveva lasciare al nemico la scelta del momento di dar battaglia nella piena certezza ch'essi erano stati inviati da Amon; inoltre, giunti a Tebe, dovevano purificarsi nel fiume, rivestire panni puliti, pesare l'arco e sciogliere le frecce, e trattenersi dal vantare la propria forza, perché

senza di lui nessun coraggioso ha forza; è lui che rende forte il debole, cosicché i molti fuggono davanti ai pochi, e un uomo solo ne vince mille.

Incoraggiato da queste elevate parole, il contingente nubiano partì alla volta di Tebe, dove tutti i soldati fecero quanto era stato comandato. Una vasta schiera nemica che risaliva il Nilo per dar battaglia fu sconfitta con un grande eccidio, navi e uomini furono catturati e molti prigionieri inviati a Napata dove si trovava Sua Maestà. Ma rimaneva da riconquistare Eracleopoli e a questo punto la stele fa un lungo elenco dei principi confederati con Tefnakht, citando i nomi delle città da loro governate. Com'era lecito attendersi, il re Osorkon risiedeva a Bubastis, mentre Tefnakht è qui definito «profeta di Neith, signora di Sais, e sacerdote-setem di Ptah», vale a dire gran sacerdote di Sais e Menfi. Seguì un altro massacro, dopo di che i resti dell'esercito nemico furono inseguiti e annientati nelle vicinanze di Pi-pek. Ma il re Nemrat, credendo che la capitale del nomo della Lepre, Ermopoli, fosse alle prese con le truppe di Sua Maestà, aveva fatto vela per il Sud, in modo che l'intera provincia fu investita da quattro lati. Tuttavia Piankhy non fu molto soddisfatto nel ricevere la notizia di parziali vittorie riportate dalle sue truppe:

Pertanto Sua Maestà s'infuriò come una pantera: Hanno dunque permesso che rimanesse qualche superstite degli eserciti del Basso Egitto, permettendogli di mettersi in salvo perchè narrasse la storia della sua campagna, e non li hanno fatti morire tutti distruggendoli fino all'ultimo uomo? Com'è vero che io vivo e che Ra mi ama e mio padre Amon mi protegge, discenderò io stesso il fiume e distruggerò ciò che egli ha fatto e lo farò desistere dal combattere per tutta l'eternità.

Piankhy prosegue dicendo di aver voluto prender parte alle cerimonie dell'Anno Nuovo a Karnak e a quelle della festa di phaòphi, quando Amon veniva recato in solenne processione a Luxor, e il giorno stesso del ritorno del dio nel suo santuario egli promette:

farò gustare al Basso Egitto il sapore delle mie dita.

Frattanto nella loro avanzata, le truppe avevano investito Ossirinco «come un fiume in piena», si erano aperta la strada fino a El-Hiba, prendendola d'assalto con l'aiuto di scale, e avevano anche conquistato la città di Heboinu. Ma questi successi non bastavano all'impaziente cuore di Piankhy. Gli fu indispensabile però sciogliere il voto di assistere alle festività tebane prima di poter imbarcarsi per Ermopoli. Qui giunto montò sul cocchio e piantò la tenda a sud-ovest della città, ma prima di partecipare all'assedio tenne un altro discorso ai suoi soldati rimproverandone l'indolenza. Poi

fu costruita una rampa per coprire le mura e una macchina per sollevare in alto gli arcieri e i frombolieri e uccidere ogni giorno la gente all'interno della città, lanciando frecce e pietre.

Ermopoli non tardò a essere ammorbata dal puzzo dei cadaveri e gli abitanti si gettarono pancia a terra, invocando misericordia dal re. Furono mandati nella città ambasciatori che ne tornarono carichi di doni, oro e casse piene di vesti, tanta era la reverenza e il timore ispirati dalla doppia corona e dall'ureo sulla fronte di Piankhy. Allora la moglie di Nemrat venne a supplicare «le spose del re e le donne del suo harem, le figlie e le sorelle del sovrano» perché intercedessero presso «Horo, signore del palazzo, la cui potenza è grande e immenso il trionfo». Pare che Piankhy rimproverasse in seguito Nemrat per il suo atteggiamento ostile, al che il nemico umiliato non seppe dar risposta migliore che recando un cavallo in dono al re e un sistro alla regina, come si vede nella scena scolpita al sommo della stele. Il primo atto del pio monarca fu un sacrificio a Thoth e alle altre divinità del luogo, dopo di che ispezionò il palazzo e i magazzini di Nemrat e gli furono presentate le sue donne, ma egli non ne prese piacere. Andò invece su tutte le furie nel trovare morenti di fame i cavalli delle scuderie di Nemrat e lo caricò di aspri rimproveri. La narrazione continua sullo stesso tono con il racconto della resa di Eracleopoli, consegnata al vincitore da Peftuabast, accompagnato da un discorso di particolare eloquenza. Subito dopo cadde El-Lahun all'ingresso del Fayum, avendo Piankhy esortato gli abitanti a non scegliere la morte invece della vita. Il figlio di Tefnakht fu tra coloro cui fu concesso di porsi in salvo senza punizione. Seguì la conquista di Maydum e di Lisht, ma quella di Menfi si rivelò un'impresa assai più dura, gli abitanti, infatti, non vollero prestar fede alla solenne dichiarazione di Piankhy che suo unico desiderio era di fare offerte al dio Ptah, ne all'assicurazione che nessuno sarebbe stato ucciso tranne i ribelli sacrileghi verso la divinità. Tefnakht avrebbe potuto compiere un intervento notturno con ottomila guerrieri scelti, ma si era allontanato a cavallo in tutta fretta per chiamare a raccolta i principi del delta sperando di conquistarli alla propria causa con la promessa del ricco bottino che avrebbero trovato nella città. Giunto a Menfi al mattino, Piankhy la trovò validamente difesa dall'acqua che arrivava alle mura e da bastioni costruiti di recente. C'era gran divergenza d'opinioni sul modo migliore di affrontare la situazione, ma il re giurò che con l'aiuto di Amon avrebbero ottenuto la vittoria, e così fu. Sempre ligio ai suoi doveri religiosi, Piankhy purificò la città con natron e incenso e compì tutti i riti che spettavano a un monarca. Gli abitanti dei villaggi circostanti fuggirono per destinazione ignota, e Iuwapet e gli altri principi vennero con doni «a contemplare la bellezza di Sua Maestà». Occorrerebbe molto più spazio anche solo per riassumere gli avvenimenti successivi di una campagna descritta con tanta ampiezza e ricchezza di particolari pittoreschi, ma dobbiamo limitarci a un fuggevole accenno alle imprese di Piankhy a Eliopoli, la più santa di tutte le città egizie, e all'assicurazione di Peteèse, principe di Atribi, che né lui né gli altri suoi pari avrebbero nascosto gli oggetti eventualmente desiderati dal vincitore, particolarmente i cavalli. Anche Tefnakht finì per fare completo atto di sottomissione, giurando:

Io non disobbedirò al comando del re, non rifiuterò ciò che ordina Sua Maestà, non farò del male a nessun principe senza che tu lo sappia, e farò ciò che dice il re,

Non si deve tralasciare un ultimo tocco caratteristico che conferma le asserzioni fatte da Erodoto e da altri autori classici, anche se non autenticate da fonti indigene. Essendo venuti a rendere omaggio a Piankhy due principi del Nord e due del Sud come rappresentanti di tutto il paese, solo a Nemrat fu concesso di entrare nel palazzo, perché gli altri avevano mangiato pesci ed erano, perciò, impuri. Un particolare così insignificante all'apparenza viene opportunamente a ricordarci che ci troviamo qui in una atmosfera morale e spirituale assai diversa dalla nostra. É probabile che sia vero tutto ciò che Diodoro racconta delle rigide norme che regolavano la vita dei faraoni, anche se non c'è modo di verificarlo. Sarebbe interessante conoscere il vero autore della vivace storia narrata sulla grande stele di Piankhy. Lo scrittore era evidentemente al corrente del linguaggio parlato nel Medio Egitto, del quale si possono citare varie espressioni prese a prestito. Ma dietro alla forma verbale traspare la fiera indole del monarca nubiano nel quale una devozione fanatica si mescolava a una reale generosità.


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