XXV Dinastia - I Faraoni Neri
760-656 a.C. (Terzo Periodo Intermedio)
I dati registrati da Manetone per
questo periodo, e riportati da Sesto Africano, sono di un interesse e di una brevità tale
che è possibile citarli per esteso: "XXIV Dinastia: Boccoris di Sais, che regnò 6 (44) anni:
ai suoi tempi un agnello parlò... 990 anni. XXV dinastia di tre re etiopi: a) Sabacon che
dopo aver catturato Boccoris lo bruciò vivo, e regnò a 8 (12) anni; b)Sebichos, suo
figlio, 14(12) anni; c) Tarcos, 18 (20) anni; totale 40 anni". Qui finalmente si
trova qualche affinità con la storia autentica, anche se naturalmente non si deve
prendere in considerazione l'allusione, di marca tipicamente manetoniana, all'agnello che
profetava con voce umana predicendo, a quanto narra un papiro demotico, la conquista e
l'asservimento dell'Egitto a opera degli Assiri. E' strano tuttavia che Manetone non parli
del grande guerriero sudanese o cushita Piankhy che verso il 730 a. C. cambiò
all'improvviso l'intero corso delle vicende egizie. Era questi il figlio di un capotribù
o re chiamato Kashta, e fratello, pare, di Shabako, chiamato da Manetone Sabacon. Partito
da Napata, Piankhy scese il corso del Nilo e, nel corso di una campagna militare
documentata da una famosa stele commemorativa a Gebel Barkal, sconfisse il rivale di
origine siriana Tefnakht (XXIV Dinastia) e diede all'Egitto,
dopo diversi decenni, una parvenza di unità.
Ma per ottenere una prospettiva più o meno esatta della nuova situazione, occorre tornare
indietro di circa settecento anni. Già sotto i Tuthmosidi era sorta una fiorente città o
colonia egizia presso il massiccio roccioso del Gebel Barkal, non molto alto ma imponente
perché isolato in mezzo alla pianura a circa un chilometro e mezzo dal Nilo. La capitale
provinciale di Napata, situata a breve distanza dalla quarta cateratta a valle del fiume e
ai piedi della «Montagna Sacra», come la chiamavano gli Egizi, era abbastanza lontana da
potersi sviluppare senza gran pericolo d'interferenze. All'epoca di Tutankhamon
la città segnava il limite amministrativo del vicereame nubiano 42. Scarsi sono i resti e
le citazioni sui testi del periodo ramesside, e mancano del tutto sotto la XXI e la XXII dinastia. Tuttavia è
indubbio che la cultura egizia, seppure latente, continuava a esercitare la sua influenza
e ad essa si univa un'appassionata devozione ad Amon-Ra, il dio della città madre, Tebe. Fu probabilmente questa devozione a provocare l'improvvisa
incursione di Piankhy nella terra sconvolta dei suoi avversari libici.
Frattanto un nuovo nemico era comparso in Oriente. Da secoli i piccoli
reami della Siria e della Palestina erano riusciti a sopravvivere senza grandi ingerenze
straniere; ma adesso si trovavano di fronte la rinata potenza di un'Assiria ambiziosa e
dispotica. Con una serie di campagne militari in Occidente Tiglath-pileser III (745-727 a.
C.) aveva saccheggiato Damasco e deportato nell'Assiria gran parte degli abitanti; lo
stesso aveva fatto in Israele, deponendo il re Pekah e sostituendolo con Hoshea nel 732 a.
C.. Per questi avvenimenti e per quelli dei cinquant'anni seguenti le uniche fonti sono
l'Antico Testamento e le iscrizioni cuneiformi, mentre i testi egizi non nominano mai
l'Assiria, anche se alla fine Tebe stessa doveva cadere temporaneamente vittima dell'assai
più forte potenza asiatica. Tuttavia era chiaro che i signorotti della Palestina
guardavano all'Egitto come difensore contro gli invasori settentrionali. Durante il breve
regno del figlio di Tiglath-pileser III, Shalmaneser, prematuramente scomparso, Hoshea si
sollevò in aperta ribellione; il tragico risultato fu la cattura e distruzione finale
della Samaria, difesasi strenuamente per tre anni e caduta solo nel 721 a.C. quando il
successore di Shalmaneser, Sargon II, «deportò gli Israeliti in Assiria» e «fece
imprigionare e mettere in catene» Hoshea. Secondo il racconto biblico, questi «aveva
inviato messi a So, re d'Egitto, e non pagava più il consueto tributo annuo al re
d'Assiria».
Gli studiosi sono concordi nell'identificare So con Sib'e, turtan d'Egitto, che
secondo gli annali di Sargon era partito da Rapihu (Rafia, sul confine palestinese)
insieme ad Hanno re di Gaza, allo scopo di vibrare un colpo decisivo. Sotto
Tiglath-pileser questo stesso Hanno era fuggito davanti all'esercito assiro ed era
«riparato in Egitto»; Sargon riferisce che la stessa cosa fece Sib'e: «come un pastore
cui è stato rubato il gregge, fuggì da solo e scomparve; io catturai personalmente Hanno
I e lo portai in catene nella mia città di Ashur; distrussi Rapihu, la rasi al suolo e la
bruciai ». Per ragioni fonetiche, oltre che cronologiche, So-Sib'e non può essere il re
etiopico Shabako, per cui si suppone che questi nomi si riferiscano a un generale. Ciò
sembra convalidato dal testo assiro che prosegue: «Io ricevetti il tributo del Pir'u di
Musru», il che non può significare altro che «il faraone d'Egitto».
La latente ostilità delle due grandi potenze, Assiria ed Egitto, tornò a divampare sotto
Sennacherib che iniziò la sua terza campagna militare con la conquista delle città
costiere fenicie. L'agitazione era però scoppiata più a sud; la popolazione della città
filistea di Ekron aveva scacciato il proprio re, Padi, per la sua lealtà verso l'Assiria;
Ezechia, re di Giuda, dopo averlo accolto, lo aveva fatto prigioniero, ma poi, preso dalla
paura, aveva chiesto aiuto all'Egitto. A Eltekeh le truppe egizie ed etiopiche subirono
una grave sconfitta; Padi fu ristabilito sul trono e molte città di Giudea furono
saccheggiate, anche se Gerusalemme sfuggì alla cattura. Per evitarla Ezechia si era
rassegnato a pagare un pesante tributo. Si è molto discusso se questo sia stato l'unico
scontro di Sennacherib con l'Egitto, ma la lettura diretta della Bibbia porta a concludere
che ce ne fu un altro; infatti, vi si legge che «Tirhakah, re dell 'Etiopia» era uscito
a combattere contro gli Assiri, ma durante la notte l'angelo del Signore ne colpì un gran
numero, cosicché «al mattino erano tutti cadaveri». Nei due versetti successivi si
afferma che Sennacherib ritornò allora a Ninive dove rimase finchè non fu assassinato.
Nel fantasioso, ma divertente racconto che Erodoto fa di questo fallito attacco contro
l'Egitto, la ritirata degli Assiri, dopo che già avevano raggiunto Pelusio, fu causata
non dalla peste, come insinua l'Antico Testamento, ma da nidiate di topi che rosicchiarono
le faretre e gli archi degli invasori. Dato che Taharqa non salì al trono che nel 689
a.C., non può esser questi il nemico sconfitto da Sennacherib a Eltekeh e, a meno di
negare l'esattezza del racconto biblico, se ne deve concludere che il re assiro mirasse a
far seguire la vittoria da un colpo decisivo impedito, però, dalle circostanze. Dunque i
nemici non devono essersi incontrati.
Da tempo si era fatta evidente la necessità di giungere a una conclusione fra i sovrani
dell'Assiria e dell'Etiopia, ugualmente ostinati, ma di fatto fu un terzo contendente a
riportare la vittoria decisiva. Come ai tempi di Piankhy, il Basso Egitto e una parte del
Medio si erano frantumati in numerosi piccoli principati, sempre pronti a schierarsi con
quella delle due grandi potenze che con maggior probabilità avrebbe rispettato la loro
indipendenza. Uno di questi doveva di lì a poco conquistare la supremazia, ma per il
momento fu l'Assiria ad avere il sopravvento. Esarhaddon, figlio di Sennacherib (680-669
a. C.), continuò con successo anche maggiore la politica aggressiva del padre. I
documenti egizi tacciono, ma stele e tavolette in caratteri cuneiformi danno
particolareggiati resoconti della campagna in cui, dopo aver soggiogato la Siria, egli
costrinse Taharqa a ripiegare a sud. Nell'iscrizione meglio conservata si legge:
Dalla città di Ishhupri fino a Menfi, a quindici giorni di marcia, combattei quotidianamente sanguinose battaglie contro Tarku, re d'Egitto e d'Etiopia, maledetto da tutti i grandi dei. Cinque volte lo colpii con la punta delle mie frecce infliggendogli ferite e quindi posi l'assedio a Menfi, sua residenza regale; la distrussi, ne rasi al suolo le mura e la diedi alle fiamme.
Dopo aver elencato il bottino portato in Assiria, così prosegue:
Deportai dall'Egitto tutti gli Etiopi, non lasciandone neppure uno a rendermi omaggio. In tutto l'Egitto nominai nuovi re, governatori, ufficiali, ispettori portuali, funzionari e personale amministrativo.
Poco dopo esser partito per un altra campagna, Esarhaddon cadde ammalato ad Harran e morì, dando modo a Taharqa di riconquistare Menfi e occuparla, finché non ne fu di nuovo cacciato da Ashurbanipal durante la sua prima campagna (667 a. C.). Il nuovo re assiro scoprì che «i re, governatori e reggenti» nominati da suo padre in Egitto erano fuggiti e occorreva reintegrarli nelle loro cariche. Tebe fu occupata per la prima volta, ma solo per essere temporaneamente abbandonata:
Il terrore della sacra arma di Ashur, mio signore, sconfisse Tarku nel suo rifugio e di lui non si seppe mai più nulla. In seguito, Urdamane, figlio di Shabako, sedette sul trono del suo reame. Fortificò Tebe ed Eliopoli e vi radunò le sue forze armate.
Il racconto prosegue dicendo come Urdamane (nome dato dagli Assiri al re etiope Tanuatamun ) rioccupasse Menfi; solo dopo il ritorno di Ashurbanipal da Ninive e l'inizio della sua seconda campagna, l'etiope abbandonò prima Menfi e poi Tebe, e «fuggì a Kipkipi». Questa è l'ultima notizia sul suo conto fornita dai testi cuneiformi. Ashurbanipal afferma di aver completamente soggiogato Tebe e aver portato a Ninive un grosso bottino, ma pare che questa sia stata l'ultima sua comparsa in Egitto (663 a. C.).
In poco meno di settant'anni l'avventura etiopica si era così conclusa e ogni contatto diretto fra i due reami cessò, a quanto pare, anche se in qualche modo si saranno mantenuti rapporti commerciali. Il confine settentrionale del regno di Napata era probabilmente Pnubs, a sud della terza cateratta; il tratto fra questa località e Aswan divenne forse una specie di «terra di nessuno» abitata da tribù selvagge. Da allora in poi l'interesse degli Etiopi incominciò a rivolgersi a sud anziché a nord, e fu stabilita una nuova capitale a Meroe alla confluenza dell'Atbara col Nilo, dove si poteva allevare bestiame e coltivare campi e dove esistevano anche abbondanti giacimenti di ferro. Malgrado la scissione politica fra Egitto ed Etiopia l'antica cultura faraonica tardò a scomparire; i templi continuarono a esser decorati con le stesse scene convenzionali a rilievo; le tombe reali conservarono la forma a piramide. Varie pregevoli stele, scritte in un egizio di mezzo abbastanza corretto, furono scoperte a Gebel Barkal insieme a quella di Piankhy. Qualche generazione dopo le iscrizioni geroglifiche, pur facendo ancor uso della lingua egizia, erano divenute così barbariche da essere incomprensibili. Nel frattempo dai geroglifici egizi era venuta formandosi una scrittura alfabetica usata per rendere graficamente la lingua indigena, e a lato di questa si era sviluppata una scrittura di tipo lineare in cui ogni segno corrispondeva al geroglifico originario.
Elenco dei re della XXV dinastia
Nome | Manetone | Prenome e Nome | Data più arretrata | Date congetturali a.C. |
Kashta | Kashta | 760-747 | ||
Piankhy | Usimara Sneferra | 21 | 747-716 | |
Shabaka | Sabacon | Neferkara Wahibra Shabako | 15 | 716-695 |
Shebitku | Sebichos | Djedkaura Menkheperra Shebitku | 3 | 695-690 |
Taharqa | Tarcos | Khunefertemra Taharka | 26 | 689-664 |
Tanuatamun | Bakara Tanuatamun | 8 | 664-656 |
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